Transistor innovativi

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Un breve viaggio per scoprire cosa sono i transistor, perchè e quando sono stati inventati e quali sono le classi di transistor innovativi oggi studiati a SPIN.

Target principale: Studenti di scuola superiore

Per ulteriori approfondimenti potete utilizzare i video e i documenti citati nella sezione riferimenti.

Per consultare le singole voci:

 

Le origini dell’elettronica

La capacità di realizzare circuiti elettronici sempre più miniaturizzati e con maggiori velocità operative è uno dei pilastri su cui si fonda la civiltà dell’informazione in cui viviamo. Nella quasi totalità dei casi, tali sistemi sono basati sulla combinazione di un larghissimo numero di dispositivi elementari noti come transistor. In un moderno chip di silicio, in pochi cm2 se ne arrivano a contare diversi miliardi che, opportunamente connessi, danno vita a molteplici funzionalità operative.

La storia della moderna elettronica ha origini lontane che si collocano nella parte iniziale del XX secolo, con l’invenzione delle prime “valvole termoioniche” nelle configurazioni a diodo e a triodo ad opera, rispettivamente, di John Ambrose Fleming (1904) e di Lee De Forest (1907).

In entrambi i casi, in bulbi di vetro contenti gas rarefatti, veniva sfruttata la possibilità di estrarre cariche elettroniche da filamenti metallici (catodi) opportunamente riscaldati e posti sotto l’effetto di un campo elettrico applicato mediante un secondo elettrodo (anodo). Nel caso del dispositivo di De Forest (Fig.1a), noto anche come Audion, un terzo elettrodo (la griglia) posta tra anodo e catodo, consentiva di modulare la corrente che scorreva tra questi due. Risultava così possibile ottenere un’amplificazione del segnale di ingresso (applicato alla griglia) che trovò una prima immediata applicazione nei sistemi di telefonia che si andavano diffondendo negli Stati Uniti già nelle prime decadi del Novecento. L’uso di questi dispositivi, con la loro successiva ottimizzazione, permise di sviluppare i primi veri sistemi elettronici impiegati sia per le telecomunicazioni, dalla televisione ai sistemi radar, sia nei primi grandi calcolatori utilizzati già nella parte finale della II° guerra mondiale per la decodifica dei messaggi cifrati. (1) Nonostante il loro ampio utilizzo, le valvole erano però caratterizzate da alcuni difetti fondamentali quali l’essere relativamente voluminose, impedendone di fatto una miniaturizzazione spinta, l’elevata potenza elettrica richiesta per il loro funzionamento (molti Watt nella maggior parte dei casi) nonché l’eccessiva fragilità strutturale. In tale contesto, per tutta la prima parte del XX secolo, si susseguirono gli sforzi per sviluppare dispositivi elettronici alternativi che offrissero le stesse proprietà di amplificazione ma senza presentare i difetti di cui sopra.

Le maggiori attenzioni vennero così concentrate su una nuova classe di materiali, i semiconduttori, il cui comportamento elettrico fu in quel periodo correttamente interpretato grazie agli sviluppi della moderna fisica dello stato solido, fondata sui principi dell’allora emergente meccanica quantistica. Durante la prima parte del XX secolo, molto interesse fu rivolto alla fabbricazione di vari dispositivi aventi una risposta rettificante (che consentiva, cioè, il passaggio di corrente per una sola polarità della tensione di ingresso) da impiegare in sistemi di ricezione dei segnali radio. Man mano che l’attenzione si spostava verso le applicazioni radar a microonde, oltre che su alcuni specifici dispositivi basati su materiali quali l’ossido di rame, gli sforzi si focalizzarono sui cosiddetti raddrizzatori cat-whisker (a baffo di gatto) con la realizzazione di contatti metallici su substrati semiconduttori. Dal momento che la funzionalità di questi sistemi dipendeva in maniera critica dalla qualità dei semiconduttori, sotto l’impulso bellico dei primi anni 40, furono messi a punto vari processi in grado di rendere disponibili campioni di silicio o germanio con livelli di purezza mai raggiunti prima.

 

 Fig 1

FIG.1



 1947: il primo transistor

Fu questo lo scenario in cui, subito dopo la fine della guerra, ritrovò impulso la ricerca di sostituti delle voluminose valvole termoioniche. A muoversi in questa direzione, fra i primi furono i Bell Labs, divisione di ricerca interna all’azienda AT&T che dall’inizio del XX secolo aveva diffuso il sistema della telefonia a tutto il territorio statunitense. A tal fine, già da metà degli anni ‘30, i Bell Labs avevano formato gruppi di ricerca altamente interdisciplinari. E fu proprio da uno di questi gruppi, composto da William Shockley, Walter Brattain e John Bardeen (Fig.1b) che arrivò la prima dimostrazione sperimentale di un nuovo dispositivo ribattezzato poi “transistor” (il nome fu proposto da John R. Pierce anch'egli ricercatore presso i Bell Labs). Dopo aver valutato la possibilità di influenzare la conduzione di una superficie di germanio attraverso l’applicazione di un forte campo elettrico esterno, fenomeno possibile da un punto di vista teorico ma che non fu sperimentalmente osservato a causa della presenza dominante di difetti superficiali nei campioni semiconduttivi allora disponibili, il primo transistor  “a punta di contatto” (Fig.1c) vide la luce pochi giorni prima del Natale del 1947, grazie, in particolare, alle intuizioni teoriche e ai trucchi sperimentali, posti in essere, rispettivamente da Bardeen e Brattain.

In tale dispositivo, due contatti di oro, posti a distanza inferiore al millimetro, venivano pressati su una lastra di germanio (2, 3[u1] ). La corrente tra i due contatti poteva essere modulata attraverso l’applicazione di un segnale ad un terzo elettrodo che, essendo posto dall’altra parte della lastra di semiconduttore, fu chiamato di base. La modalità operativa del primo transistor non è semplice da descrivere ed alcuni dettagli sfuggono anche agli specialisti (si veda per un approfondimento quanto riporto in 4). L’ingrediente fondamentale era però legato alla presenza nel semiconduttore di una zona (la base) ricca di elettroni (detta perciò di tipo N) e di una (quella superiore su cui erano posti gli elettrodi di oro) carente di elettroni e per questo abbondante di siti (lacune) occupabili da altri elettroni (detta di tipo P).

Nella pratica, la capacità del dispositivo di amplificare un segnale di ingresso era possibile grazie all’interazione tra una corrente legata al flusso di elettroni e una seconda dovuta al moto delle lacune. Questi stessi ingredienti furono poi ulteriormente sviluppati da Shockley che, negli anni successivi e fino al 1951, definì il concetto di transistor bipolare a giunzione (BJT) dove, in maniera più funzionale, si alternavano zone di semiconduttore di tipo P e N. L’aggettivo “bipolare” indica proprio la contemporanea presenza nel dispositivo di correnti di elettroni e lacune. Le proprietà di amplificazione delle prime versioni di transistor ne diffusero sin da subito l’’utilizzo ai fini commerciali (5, 6), come testimoniato dalla prima radio transistorizzata, la Regency 54, messa in vendita già nel 1954 (Fig.1d).

 



 

1960: nasce il MOSFET

Negli anni ’50, le innovazioni, rese possibili dall’ottimizzazione dei materiali e dei vari processi di fabbricazione e accompagnate da una comprensione sempre più profonda del comportamento fisico dei semiconduttori, portarono allo sviluppo di nuove tipologie di transistor che culminarono nel 1960 nella prima dimostrazione, ad opera di Mohamed Atalla and Dawon Kahng sempre presso i Bell Labs, del Metal-Oxide Semiconductor Field-Effect Transistor (MOSFET), ad oggi di gran lunga la versione di transistor più utilizzata nei moderni circuiti elettronici digitali (in cui le informazioni vengono codificate come combinazione di segnali binari).

Un MOSFET (la Fig.2a ne riporta un possibile schema con l’indicazione di zone di tipo P e N), è un dispositivo unipolare (nel canale principale scorrono, in questo caso, o solo elettroni o solo lacune) in cui la corrente tra gli elettrodi di drain e source è modulata dall’applicazione di un segnale di tensione (VG) all’elettrodo di gate, separato dal canale principale da una sottile barriera isolante. In tale configurazione, il silicio si è affermato definitivamente come il materiale più versatile grazie anche alle migliori caratteristiche tecnologiche del suo ossido (SiO2) utilizzato per formare lo strato isolante. In un MOSFET, il fenomeno principale è legato alla cosiddetta inversione di popolazione che, indotta dal segnale di gate, pone in diretta comunicazione elettrica gli elettrodi di source e drain (Fig.2b). In assenza di tale segnale (Fig.2a) e per qualsiasi altra condizione legata alla tensione tra drain e source, almeno una delle giunzioni all’interfaccia tra drain/substrato e source/substrato permette solo il passaggio di deboli correnti (si dice che la giunzione è “contro-polarizzata”) (7).

 

 Fig 2

FIG.2

Quando VG supera invece una certa tensione detta di soglia (Vth), ha luogo il fenomeno dell’inversione di popolazione e la corrente tra drain e source (IDS) aumenta considerevolmente, dipendendo tanto dalla tensione (VDS), applicata a questi, che dalla VG. In Fig.2d, è riportato un esempio delle classiche curve di uscita di un MOSFET, con la presenza delle due principali regioni di funzionamento, dette zona lineare (Fig.2b) o di saturazione (Fig.2c), caratterizzate da una diversa distribuzione di cariche nel canale e da una particolare dipendenza di IDS da VGS e VDS come descritto nelle equazioni al fondo della Fig.2. In esse, la mobilità (µ) dei portatori di carica (elettroni o lacune) è il principale parametro elettrico che definisce la qualità del materiale. L’invenzione dei MOSFET, così come quella di altre tipologie di transistor, ha, nei fatti, posto le premesse per la nascita dell’attuale microelettronica che si è definitivamente affermata una volta sviluppati i processi tecnologici in grado di “integrare” più dispositivi sullo stesso substrato di semiconduttore. A tale scopo, sono stati decisivi i contributi di moltissimi scienziati che hanno progressivamente ottimizzato le tecniche fotolitografiche introdotte per la prima volta nel 1959 da Jay W. Lathrop. Oggi l’uso della litografia ultravioletta estrema (8) rappresenta uno dei processi tecnologici più complessi mai realizzati dall’uomo e a fianco all’introduzione di nuove configurazioni tridimensionali (9) dei transistor, è alla base dei chip di ultimissima generazione.




L’elettronica a film sottile

Parallelamente allo sviluppo della micro/nanoelettronica basata su silicio monocristallino, nei decenni è continuata anche la ricerca di nuovi semiconduttori adatti allo sviluppo di dispositivi utilizzabili in altri campi applicativi.

In tal senso, è importante citare la nascita dei transistor a film sottili (TFT), basati proprio sull’utilizzo di semiconduttori che possono essere depositati, in forma di strati spessi anche poche decine o centinaia di nanometri (1nm = 10-9 m), su substrati isolanti (10). Le prime dimostrazioni sperimentali dei TFT furono ottenute tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio del decennio successivo, utilizzando film di germanio per il canale attivo e ossido di germanio come barriera dielettrica. Negli anni ‘60 e ‘70, si susseguirono altri esperimenti che ebbero il merito di mettere in evidenza le prestazioni semiconduttive di materiali diversi come il Seleniuro di Cadmio (CdSe). Ma la vera svolta nel settore si ebbe nel 1979 con lo sviluppo di TFT basati su silicio amorfo (amorfo, in quanto completamente privo dell’elevatissimo ordine strutturale del silicio cristallino impiegato nei MOSFET e nei BJT) che aprirono alla definitiva applicazione di questi dispositivi nell’emergente settore degli schermi a cristalli liquidi (LCD), commercializzati lungo tutto il corso degli anni ‘80. Dagli anni ‘90 in poi, lo sviluppo dell’elettronica a film sottile ha ulteriormente motivato la ricerca verso l’identificazione di composti semiconduttivi capaci di offrire il miglior compromesso possibile tra prestazioni elettriche (come la mobilità dei portatori di carica) e la riduzione dei costi di fabbricazione, con il ricorso a temperature di processo sempre più basse al fine di ampliare il numero di substrati compatibili con la deposizione dei film. Sono così emerse nuove classi di materiali che sono ancora oggetto di un’intensa attività di ricerca, come alcuni ossidi di metalli di transizione (molti degli schermi LED più moderni sono pilotati attraverso transistor basati su una variante dell’ossido di zinco, denominata IGZO), i semiconduttori organici, i nanotubi di carbonio, i composti ibridi organici-inorganici, i materiali bidimensionali 2D, etc.. Alcuni di questi materiali sono considerati anche per lo sviluppo di una elettronica completamente trasparente alla luce visibile.




I semiconduttori organici

Più nello specifico, i semiconduttori organici, di interesse anche per la ricerca dell’Istituto SPIN, sono composti a base di carbonio e contenenti poche altre specie atomiche, quali idrogeno, azoto, ossigeno e zolfo. La loro struttura (Fig.3a), nella forma di molecole o polimeri, è caratterizzata dalla fusione di anelli aromatici con l’alternanza di legami semplici e doppi tra atomi di carbonio (coniugazione).  I legami doppi (Fig.3b) sono contraddistinti dalla presenza di cosiddetti elettroni di tipo π, con il caratteristico orbitale a doppio lobo. Negli anelli aromatici, tali elettroni sono maggiormente delocalizzati rispetto alle strutture atomiche di partenza e risultano quindi più “mobili” sotto l’applicazione di un campo elettrico esterno. Questo scenario è radicalmente diverso da quanto accade nelle plastiche convenzionali (anche esse basate principalmente su carbonio) dove la presenza di soli legami di tipo s (Fig.3c) conferisce un carattere prettamente isolante da un punto di vista elettrico. In generale, i semiconduttori organici, che in alcuni casi risultano anche solubili in opportuni solventi, sono processabili a temperature inferiori a 200 °C, consentendo la loro deposizione, in forma di film sottile, anche su substrati flessibili.

 FIG. 3

 FIG.3

La possibilità, inoltre, di modificarne la struttura molecolare per via chimica ha permesso di valutare le prestazioni di moltissimi composti, ottimizzandone le relative proprietà di auto-assemblaggio (self-assembling). Tale termine viene usato per descrivere i processi in cui un sistema di componenti inizialmente disordinato si organizza in una struttura spazialmente ordinata, per effetto di interazioni specifiche locali tra i componenti stessi. Infatti, è proprio la disposizione spaziale delle molecole nelle strutture a stato solido che con esse si vanno a realizzare (film sottili ma anche cristalli) a condizionare principalmente l’efficacia con cui le cariche elettroniche possono muoversi sotto l’azione del campo elettrico, fornendo così diversi valori di mobilità (μ). Altra caratteristica dei composti organici, in virtù della loro composizione chimica e delle proprietà meccaniche tipiche delle strutture soffici, è quella di possedere, in molti casi, un elevato livello di biocompatibilità che ne suggerisce l’impiego in interfacce elettroniche capaci di operare a contatto con la materia vivente o, comunque, in ambiente biologico.  Anche la storia dei semiconduttori organici è relativamente più lunga di quanto si possa immaginare, con alcuni studi che ne evidenziarono le proprietà elettriche già negli anni ‘40 (11). Tuttavia, uno dei maggiori breakthrough nel campo, come sancito anche dal premio Nobel per la Chimica dell’anno 2000 (12), fu la dimostrazione nel 1977 da parte di Alan G. MacDiarmid, Alan J. Heeger, and Hideki Shirakawa della possibilità di aumentare la conducibilità elettrica di un polimero (il poliacetilene) attraverso l’esposizione (processo di doping) a vapori di alogeni (Br, Cl, I) in modo da raggiungere valori (~ 105 S/cm) comparabili con quella dei metalli.




I transistor organici e le ricerche attuali

Risale però solo al 1986 la prima dimostrazione di un transistor organico, basato su un film di un composto del politiofene considerato nella sua forma non dopata, da parte di ricercatori della Mitsubishi Electric Corporation (13).

Nella maggior parte dei casi, la struttura di un transistor organico è simile a quella descritta in Fig.4a, con un film semiconduttivo posto a contatto con gli elettrodi di source e drain e separato, mediante una sottile barriera isolante (da alcune centinaia a qualche decina di nanometri), dal terzo elettrodo di gate. Anche in questo caso, la corrente che scorre nel canale organico può essere modificata attraverso il segnale applicato al gate che produce principalmente un effetto di “accumulazione” di cariche nella zona all’interfaccia con la barriera dielettrica. Pur essendo il meccanismo fisico diverso da quello che ha luogo nei MOSFET (inversione di polarizzazione vs accumulazione di carica), la risposta di un transistor organico viene di solito descritta, con sufficiente approssimazione, mediante le stesse equazioni (Fig.2). Ancora oggi, in questo settore basato su competenze fortemente interdisciplinari, la ricerca mira a identificare nuovi composti che, grazie alle più efficaci proprietà di self-assembling, permettano di creare film con migliori prestazioni elettriche aumentando così il valore della mobilità dei portatori di carica. Si pensi che, negli ultimi 40 anni, nei transistor organici si è passati dai valori di mobilità di 10-5 cm2/V·s a valore maggiori di 10 cm2/V·s, superando le prestazioni del silicio amorfo (µ ~ 1 cm2/V·s). Gli sforzi della ricerca sono diretti anche a comprendere, e ad attenuare quanto più possibile, l’impatto di fenomeni fisici che producono effetti non ideali nella risposta dei transistor organici. Ne sono principali esempi i meccanismi che causano l’immobilizzazione (trapping) delle cariche libere, generando la progressiva riduzione nel tempo (Bias stress) della corrente, durante il funzionamento dei transistor. Altro principale argomento di analisi è legato all’esistenza di meccanismi che ostacolano l’iniezione o l’estrazione delle cariche mediante gli elettrodi source e drain (quasi sempre fatti di metallo) a contatto con il canale organico. A causa di questi fenomeni, all’interfaccia tra organici e metalli, si originano le cosiddette resistenze di contatto che, nella pratica, impediscono di preservare la qualità della risposta elettrica quando lunghezza del canale si riduce a valori inferiori a qualche decina di micron (1 μm = 10-6 m).

Oltre a queste direttrici più fondamentali, la ricerca si sta occupando di dimostrare la possibilità di utilizzare efficacemente i transistor organici in vari ambiti applicativi, tra cui in particolare quelli legati allo sviluppo di nuovi sensori. Nell’Istituto SPIN, attualmente è in fase di sviluppo la fabbricazione di transistor organici su substrati flessibili (Fig.4b) per la rivelazione di radiazioni ionizzanti e/o di segnali ottici. In questo ambito, l’obbiettivo è la realizzazione di dispositivi flessibili, adattabili perciò alle caratteristiche del corpo umano, da utilizzare in tempe reale come dosimetri durante l’applicazione di terapie che prevedono l’irradiazione di tessuti umani con fasci di protoni. Altra possibilità è invece quella di realizzare dispositivi che siano sensibili alla luce visibile e possano essere impiegati in sistemi di telecomunicazione a banda larga. A tale scopo, si può efficacemente sfruttare la grande varietà di composti organici che, in funzione della dimensione della loro struttura molecolare, possono essere sensibili a luce di diversa lunghezza d’onda (e quindi di diverso colore).

 Fig 4

FIG.4

Differenti tipologie di transistor organici possono invece operare anche in ambiente liquido, con tensioni inferiori a 1 V, consentendo la rivelazione di sostanze di origine biologica (es. bio-marcatori relativi a determinate malattie). In questo caso (Fig.4c e d), il canale organico è immerso in un elettrolita in cui è presente anche un ulteriore elemento conduttivo (che può essere realizzato anche sullo stesso substrato in cui è presente il canale) che funge da elettrodo di gate. Il segnale applicato a tale contatto permette, infatti, di modulare la corrente che scorre nell’organico attraverso il flusso di ioni presenti nell’elettrolita, garantendo una diretta “trasduzione” di segnali ionici in segnali elettronici. Inoltre, si fa distinzione tra materiali organici che sono impenetrabili agli ioni e composti che risultano invece porosi rispetto al flusso delle specie ioniche. In quest’ultimo caso, i transistor vengono definiti di tipo “elettrochimico”. Attraverso opportuni processi chimico-fisici, l’elettrodo di gate può essere funzionalizzato con elementi biologici (es. anticorpi) in grado di riconoscere una determinata sostanza presente nell’elettrolita. Tale caratteristica permette di rendere la risposta del transistor specifica rispetto ad un certo “target” biologico, la cui concentrazione viene posta in correlazione con la modifica di uno o più parametri elettrici del dispositivo (es. mobilità dei portatori, tensione di soglia). L’obbiettivo finale di questo approccio è sviluppare biosensori economici, compatti, leggeri e che tuttavia possano garantire risposte estremamente sensibili e selettive. Tali ultime caratteristiche risultano decisive al fine di avere sistemi di diagnosi ad altre prestazioni che riducano, quanto più possibile, l’occorrenza di falsi negativi (incapacità di rivelare la sostanza pur in sua presenza) e falsi positivi (presunta rivelazione di una sostanza anche in sua assenza).

Alla fine della sezione seguente, potete direttamente accedere ad alcuni articoli scientifici “open access”, pubblicati negli ultimi anni dai ricercatori di SPIN sugli argomenti qui discussi. 



RIFERIMENTI:

  1. COLOSSUS - Computer History Museum:   https://www.youtube.com/watch?v=7cDeG3hyraA
  2. AT&T Archives: Genesis of the Transistorhttps://www.youtube.com/watch?v=WiQvGRjrLnU
  3. Storia dei primi transistor: https://www.youtube.com/watch?v=Pzy_KOBddRA&t=1222s
  4. How the First Transistor Worked: https://spectrum.ieee.org/transistor-history
    https://www.youtube.com/watch?v=MFN2p8izhss
  5. The Transistor: a 1953 documentary, anticipating its coming impact on technology: https://www.youtube.com/watch?v=V9xUQWo4vN0
  6. Transistor Full Documentary: https://www.youtube.com/watch?v=U4XknGqr3Bo
  7. MOSFET Transistor Basics & Working Principle: https://www.youtube.com/watch?v=p34w6ISouZY
  8. The Extreme Engineering of ASML’s EUV Light Sourcehttps://www.youtube.com/watch?v=5Ge2RcvDlgw&t=214s
  9. The 3-D Transistor Transition: https://www.youtube.com/watch?v=i3dDslo9ibw
  10. Thin Film Transistor Technology—Past, Present, and Future: https://iopscience.iop.org/article/10.1149/2.F06131if
  11. D.D. ELEY ,Phthalocyanines as Semiconductors Nature vol. 162, page 819 (1948):  https://www.nature.com/articles/162819a0
  12. The Nobel Prize in Chemistry 2000:   https://www.nobelprize.org/prizes/chemistry/2000/summary/
    https://www.youtube.com/watch?v=wKICpWFMOvI
  13. First demonstration of a transistor based on a polymer channel: Tsumura; H. Koezuka; T. Ando, Macromolecular electronic device: Field‐effect transistor with a polythiophene thin film, Appl. Phys. Lett. 49 (18). 3 November 1986  
    https://pubs.aip.org/aip/apl/article/49/18/1210/51910/Macromolecular-electronic-device-Field-effect

Altri video e stories sono disponibili sul sito web e sul canale Youtube del Computer History Museum (USA)

Articoli Open access

CREDITS

I contenuti della pagina sono stati curati da: Mario Barra (This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.), Fabio Chiarella (This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.), Ettore Sarnelli (This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.)

 

 

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